Perché diversi appartenenti alle Forze di Polizia nel corso della loro vita vivono forti disagi sociali e spesso ricorrono a gesti autolesionisti estremi e se ne vanno via per sempre, nella disperazione dei propri cari, con la stessa semplicità con la quale si esce di casa la mattina?
Qualcuno ha detto: “il lavoro che fanno richiede solo di essere macchine perfettamente efficienti; ne sono tutti consapevoli. E’ anche per questo che tirano dritto come i muli e, come un mulo, ogni tanto qualcuno crolla e non si rialza più…questa è la realtà.”
Spesso tale gesto viene vissuto come l’estrema ratio per fuggire da un’esistenza divenuta soffocante, frutto di una condizione di vita che ha già segnato negli affetti o nella salute, aggravata da un lavoro abbastanza stressante e che non lascia più intravedere una via d’uscita.
A volte, si lascia un semplice scritto, con poche parole, altre volte un memoriale più corposo per cercare di spiegare ai propri cari quel tragico gesto. Una spiegazione, ovviamente, che nessun familiare capirà mai!
Spesso si ci interroga su questi drammi, quantomeno per non aver saputo cogliere nel volto e nei comportamenti delle vittime nemmeno un piccolo sintomo di quel forte disagio che ha condotto una persona verso un viaggio senza ritorno.
Se da un lato risulta fuorviante sostenere che la tipologia del lavoro svolto e del suo ambiente é la causa preponderante dei disagi sociali del personale, lo é altrettanto soffermarsi semplicemente al fallimento di un amore o all’acuirsi di una malattia, senza porre la benché minima attenzione alle complesse condizioni di un percorso lavorativo non proprio facile e connotato da diverse fonti di stress, anche in ragione della peculiarità di uno status a cui bisogna corrispondere stringenti obblighi e doveri.
“La difesa della Patria e la salvaguardia delle libere istituzioni”, infatti, sono il motto che guida ogni giorno ognuno di noi.
Nonostante questo nobile principio, che rischia di diventare solo uno slogan, purtroppo, non si può essere distanti, indifferenti o poco inclini ai problemi del collega che ti siede accanto o che ti dipende. Chi veste una divisa, infatti, dovrebbe vestire anche la stessa missione, a prescindere dai gradi che porta sulle spalline.
Sono tanti i colleghi di ogni Forza di Polizia che negli anni ci hanno lasciato e questa escalation, purtroppo, non accenna a fermarsi.
Gli ultimi, purtroppo, sono avvenuti pochi giorni fa nella Guardia di Finanza.
E’ vero che si vive in un contesto lavorativo che, a volte, può prestarsi ad un’irragionevole compressione delle condizioni di lavoro, di vita e delle aspettative professionali dell’individuo che indossa un’uniforme, ma le ragioni sono senz’altro più ampie ed originano da una moltitudine di fattori; norme che al fine di tutelare il delicato servizio finiscono, talvolta, con l’annullare o sminuire le forme di libertà indispensabili per l’uomo e la condotta partecipativa alla vita collettiva.
l suicidio tra gli appartenenti alle Forze di Polizia sembra appalesarsi come l’ultimo gesto di un malessere generale e profondo dell’individuo che indossa un’uniforme; originato da profonde difficoltà nei rapporti interpersonali, nell’ambiente familiare o amicale si estende, poi, anche agli altri contesti relazionali.
C’è chi ha sempre sostenuto che le caserme non siano proprio l’habitat favorevole per chi vuole aprirsi ed esternare le proprie difficoltà personali, nonché una delle determinanti/concause dei disagi sociali e spesso del gesto suicida tra coloro che indossano un’uniforme fosse proprio “la disciplina dell’istituzione”, spesso irrazionalmente perseguita.
Quale potrebbe essere, quindi, la causa scatenante di tutti questi tragici eventi?
A detta degli esperti la parola chiave di questi drammi, le cui cause scatenanti che sottendono a tali eventi drammatici, si chiama “Alessitimia”, o meglio, difficoltà nel manifestare e descrivere i propri sentimenti.
In conclusione, pur sostenendo che le cause che inducono gli appartenenti alle forze di polizia ed alle forze armate siano prioritariamente legate alla sfera personale o familiare, aggravate dalle condizioni stressanti insite nel peculiare lavoro, le Amministrazioni, tramite i propri dirigenti, devono, comunque, porre necessariamente maggiore attenzione ai comportamenti e cogliere i segnali che provengono dai singoli dipendenti, nonché manifestare maggiore disponibilità e sensibilità ad intervenire per attenuare o cercare di risolvere le problematiche riscontrate, anche di natura privata, ancor prima che si ci trovi di fronte a situazioni patologiche consolidate ed irreversibili. E questo, ovviamente, può avvenire solo con la disponibilità all’ascolto e senza forme di emarginalizzazione.
Abbiamo tutti, infatti, il dovere morale, ma in particolar modo ce l’hanno i dirigenti, di chiedersi come mai questi colleghi “se ne vanno via per sempre”, nella totale disperazione dei propri cari, con la stessa semplicità con la quale si esce di casa la mattina!
Nella piena consapevolezza del fenomeno suicidario e della delicatezza dei disagi sociali in genere che rischiano di investire il personale del Corpo, quindi, la Segreteria Regionale SINAFI Lazio ha avviato un ambizioso e importante progetto, condiviso e coordinato dalla Segreteria Nazionale, rivolto prioritariamente ai propri iscritti, ma anche a coloro che ancora non lo sono e che dovessero avere bisogno di una voce amica, per la prevenzione e la gestione dei disagi sociali.
Un progetto pilota, quello del Lazio, che all’inizio dell’anno prossimo verrà strutturato ed esteso a tutte le regioni italiane, tramite le segreterie e sezioni regionali, con l’intento di poter cogliere eventuali campanelli di allarme che possano far percepire l’esistenza di disagi sociali, siano essi collegati alla sfera personale e privata o a quella lavorativa.
Con questi presupposti e finalità si sono tenuti, nel corso dell’ultimo mese, quattro incontri tra i dirigenti, gli attivisti della segreteria Lazio e esperti della materia (Dott.ssa. Giovanna Ezzis e Dott.ssa Alessandra Curtacci), rispettivamente Psicologa e Psicoterapeuta e Psicologa e Psicoterapeuta dell’Emergenza, per analizzare il fenomeno, confrontarsi sul profilo personale che dovranno possedere coloro che si dedicheranno all’ascolto, la necessità di un approccio connotato da un ascolto attivo da utilizzare nella quotidianità, al fine di essere credibili, affidabili e ottenere risultati proficui, in presenza di persone che necessitino di “una voce amica”.
Il confronto si é soffermato anche sullo stress da lavoro correlato, sul Burnout, sullo stress da evento post traumatico e sui disagi sociali che portano a gesti autolesionistici o persino estremi, qual é il suicidio.
Il progetto, che prevede anche la stipula di protocolli d’intesa tra il SINAFI Lazio e Psicologi/Psicoterapeuti/Psichiatri in tutte le Province, per la creazione di canali dedicati per l’erogazione di assistenza a tariffe calmierate e per l’analisi dei fenomeni sociali e psico-sociali che riguardano gli operatori di Polizia in genere, verrà presentato ufficialmente nei prossimi mesi, in occasione di un convegno dedicato al quale parteciperà anche la segreteria nazionale, nonché illustri accademici e studiosi della tematica e, successivamente, verrà esteso a tutte le città italiane al fine di creare una funzionale e capillare rete di protezione e di supporto.
La Segreteria Nazionale SINAFI