Ingiustificata la mancata armonizzazione delle fasce orarie di reperibilità tra settore pubblico e privato, risultate più penalizzanti per i dipendenti pubblici.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione IV Ter – con la sentenza n.16305/2023 del 03 novembre 2023 ha accolto il ricorso presentato da UIL Pubblica Amministrazione Polizia Penitenziaria avverso il Decreto Ministeriale n. 206 del 17 ottobre 2017, emesso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, a firma del Ministro per la Semplificazione e la Pubblica amministrazione e del Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, concernente il “Regolamento recante modalità per lo svolgimento delle visite fiscali e per l’accertamento delle assenze dal servizio per malattia, nonché l’individuazione delle fasce orarie di reperibilità, ai sensi dell’articolo 55-septies, comma 5-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”.
Sul menzionato decreto ministeriale si era già pronunciato il Consiglio di Stato in sede consultiva ( Clicca qui) osservando, proprio in merito alle fasce orarie di reperibilità, che l’articolo 3 dello stesso decreto, nell’individuare quali fasce orarie di reperibilità i periodi ricompresi tra le ore 9 e le 13 e tra le ore 15 e le 18 di ciascun giorno, aveva mantenuto gli orari già previsti per i pubblici dipendenti, lasciando dunque immutata la differenziazione tra dipendenti pubblici e privati, in relazione ai quali erano e sono previste fasce orarie di reperibilità più brevi, ricomprese tra le ore 10 e le 12 e tra le ore 17 e le 19.
Lo stesso massimo Organo giurisdizionale aveva quindi invitato l’Amministrazione a procedere, con le modalità ritenute più opportune, all’armonizzazione della disciplina delle fasce orarie di reperibilità fra dipendenti pubblici e dipendenti del settore privato, in base a quanto esplicitamente previsto dalla normativa di delega di cui al richiamato art. 55 septies, comma 5 bis del d. lgs. n. 165 del 2001.
La Sezione IV Ter del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio ha quindi preliminarmente inteso verificare se il decreto ministeriale in parola avesse o meno dato attuazione all’armonizzazione del sistema richiamata dalla norma primaria, concludendo che nel senso della “non idonea attuazione della suindicata norma di legge”.
Più precisamente, il Tar Lazio ha evidenziato che:
- nulla è stato innovato rispetto al decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 206 del 2009, specificamente riferito solo ai dipendenti pubblici;
- non è stata assicurata l’armonizzazione della disciplina dei settori pubblico e privato, alla quale il decreto era chiamato, relativamente alle fasce orarie di reperibilità, che sono rimaste profondamente differenziate, in modo decisamente più penalizzante per i dipendenti pubblici;
- la mancata armonizzazione ha determinato una disparità di trattamento tra settore pubblico e settore privato del tutto ingiustificata, considerato che un evento come la malattia non può essere trattato diversamente a seconda del rapporto di lavoro intrattenuto dal personale che ne viene colpito, in violazione dell’art. 3 Costituzione, non essendo rispettato il principio di uguaglianza;
- il mantenimento delle differenziate fasce orarie, con una durata complessiva, per il settore pubblico, quasi doppia rispetto a quella del settore privato (7 ore a fronte di 4 nell’arco di una giornata) è indicativo anche di uno sviamento di potere;
- controlli ripetuti, associati ad una restrizione delle ipotesi di esclusione dall’obbligo di rispettarle, sembrano piuttosto diretti a dissuadere dal ricorso al congedo per malattia, in contrasto con la tutela sancita dalla Carta costituzionale dall’art. 32.
L’Organo giurisdizionale ha quindi accolto il ricorso, annullando il Decreto Ministeriale impugnato, con riferimento alle fasce orarie di reperibilità, ed evidenziando che nell’adozione del nuovo decreto non potrà non tenersi conto di quanto affermato nella sentenza di annullamento.
Nel complesso, non possiamo non rilevare come dalla sentenza emessa dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio emerga anche una certa “indifferenza” dimostrata dai Ministeri interessati circa le osservazioni formulate dal Consiglio di Stato in sede consultiva.
In tali osservazioni la sezione “Atti normativi” aveva dedotto che la motivazione esplicitata dall’Amministrazione, basandosi su una nozione di controllo prettamente quantitativa, non appariva adeguata a superare la circostanza che la disposizione in esame poteva essere ritenuta non conforme al criterio di delega recato dall’art. 55 septies, comma 5 bis del d. lgs. n. 165 del 2001, nella parte in cui disponeva che l’atto normativo doveva essere finalizzato ad armonizzare la disciplina dei settori pubblico e privato.
Difatti, proprio per tali motivi si è giunti alla sentenza del T.A.R. Lazio che ha annullato il menzionato decreto.
Resta ora in capo ai Ministeri interessati l’incombenza di provvedere all’emanazione di un nuovo decreto conforme agli indirizzi forniti dalla legge delega ed alle osservazioni formulate dall’Organo giurisdizionale.
La Segreteria Nazionale SINAFI
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