Ancora un evento drammatico, un fatto di sangue che vede coinvolto un nostro collega e che ognuno di noi non avrebbe mai voluto apprendere!
Un collega in servizio a Fiumicino e la sua compagna sono tragicamente morti, da una prima ricostruzione sembrerebbe anch’essi vittime del “mal di vivere”.
Sembrerebbe, dalle prime ricostruzioni giornalistiche, che si tratti di un omicidio-suicidio, mediante l’arma di ordinanza, ma ci sono tuttora indagini in corso da parte dei colleghi e della magistratura per cercare di capire cosa è realmente accaduto.
L’ennesimo gesto, come troppi ne sono accaduti nel corso degli anni, probabilmente messo in atto da chi ormai non vedeva più nel presente alcuna soluzione a eventuali problematiche, né tantomeno alcuna prospettiva nel proprio futuro.
Il suicidio, pertanto, sembra essere stato visto, ancora una volta, come l’ultimo gesto di un malessere generale e profondo dell’individuo che indossa un’uniforme e che, originato da difficoltà sociali, problematiche familiari o nei rapporti interpersonali, si estende, poi, anche agli altri contesti relazionali.
Una nostra consulente psicologa, in occasione di un altro evento drammatico, scrisse: “Il lavoro che fate vi richiede solo di essere macchine perfettamente efficienti; ne siete tutti consapevoli. Ed è anche per questo che tirate dritto come i muli e come un mulo ogni tanto qualcuno crolla e non si rialza più…questa è la realtà.”
Una cosa è certa, le problematiche di diversa natura, che possano riguardare qualsiasi persona, a prescindere dal lavoro che svolge, assumono inevitabilmente connotazioni molto diverse qualora si tratti di una donna o un uomo che indossa un’uniforme.
Difficoltà ad aprirsi e raccontare i propri problemi o confidarsi con colleghi o superiori. Non è certo facile e agevole per chi viene visto e considerato nell’immaginario collettivo, come una “macchina perfettamente efficiente”, purtroppo senza sapere che dentro la divisa, in fondo, vi sono persone con le stesse emozioni, con analoghi problemi e, a volte, con le stesse paure di ogni altro essere umano, ma con la difficoltà tangibile di poterle esternare.
Oggi non può essere il giorno delle polemiche, della retorica, il rischio che la rabbia e le emozioni prevarichino sulla razionalità e sulla lucidità è realistico, ma deve essere necessariamente un giorno di rispetto per il dramma del collega e della sua compagna, nonché per tutte le vittime di questo “male oscuro” che trascina nel baratro ogni anno centinaia di appartenenti alle Forze di polizia, nella speranza che si possano ipotizzare soluzioni per cercare di prevenire certi drammi.
Esprimiamo vicinanza e i più sentiti sentimenti di cordoglio alle rispettive famiglie del collega e della compagna.