Segretario Generale Aggiunto del Sindacato Nazionale Finanzieri – SINAFI
Il tema dell’etica professionale assume nell’epoca contemporanea un valore centrale soprattutto quando messo in relazione con l’evoluzione della società, una società in cui le relazioni hanno assunto dimensione talmente grandi da far sì che si perda il senso profondo del ruolo della propria professione, a favore di un livellamento tra le stesse che annichilisce proprio l’etica professionale.
Si perde facilmente il senso di sé in una società in cui l’appiattimento, che sia verso il basso o verso l’alto, ci rende tutti simili in un’illusione di equità che annienta solo la propria identità.
Partendo da questo assunto, mi propongo di fornire un contributo di pensiero ad una visione delle organizzazioni di tipo sindacale, che mira ad una tutela dei propri soci più ampia della classica accezione.
Una visione che potrebbe sembrare troppo audace rispetto a un modello organizzativo tanto radicato storicamente e culturalmente come quello sindacale, ma che, a mio parere, può trovare un “luogo” adatto in cui mettere radici proprio per le caratteristiche del nostro ambiente lavorativo.
Senza ripercorrere la strada, difficile e non ancora del tutto realizzata, che dapprima ha portato alla sentenza n. 120/2018 della Corte Costituzionale che ha eliminato il divieto per il personale delle Forze armate e delle forze di polizia ad ordinamento militare di costituirsi in associazioni di tipo sindacale e poi alla legge n. 46/2022 “Norme sull’esercizio della libertà sindacale del personale delle Forze armate e delle Forze di polizia a ordinamento militare”, possiamo certamente affermare che le prime organizzazioni sindacali hanno visto la luce in ambienti per definizione altamente gerarchici e all’interno di un sistema normativo di diritto, anche interno, molto rigido e in cui la rappresentanza del personale veniva svolta all’interno di un complesso di regole, scritte e non, che poco aveva a che fare con il mondo sindacale così come lo conosciamo.
Stiamo dunque parlando di organizzazioni che nascono in un ambiente per così dire “vergine”, in cui esse stesse sono protagoniste di un percorso fino a quel momento inesplorato.
Un terreno fertile in cui, in un’accezione accademica, è possibile formulare una teoria e non solo verificarne la fattibilità, ma addirittura realizzarla.
Ebbene, ritengo che il percorso della sindacalizzazione, se guidato nel modo corretto, possa condurre a quella che mi piace definire “interiorizzazione dell’etica professionale”.
Accanto al sistema di norme, in un ambito professionale, così come in ogni organizzazione sociale, esiste un sistema di principi e valori caratteristici, che fanno sì che si adempia in maniera corretta al proprio compito: questa è l’etica professionale.
In qualunque professione siamo chiamati al rispetto di regole, qualunque sia la mansione a cui siamo destinati. Poi ci sono quelle professioni in cui un determinato comportamento è addirittura oggetto di un “giuramento”: categorie professionali che erogano servizi pubblici essenziali o, ancor più, che costituiscono l’ossatura di uno stato democratico.
La domanda a questo punto è: come può un’organizzazione di tipo sindacale promuovere l’etica professionale, addirittura agevolandone l’interiorizzazione?
È evidente che tali organizzazioni non possono, solo in quanto tali, realizzare o contribuire ad un processo sociale di tale portata.
È necessario che esse per prime fondino se stesse sui valori etici che, da un lato non devono restare fermi nelle pagine di uno statuto, e dall’altro non devono scivolare in un facile populismo che, seppure nel breve periodo allarga il consenso, rischia di creare un contenitore vuoto destinato a rivelarsi presto per quello che è.
Non c’è un tempo migliore per realizzare ciò quale quello che stiamo vivendo e non c’è un ambiente migliore in cui ciò possa realizzarsi quale un ambiente “incontaminato”.
È dunque possibile promuovere l’etica quando l’etica stessa diviene lo strumento e il mezzo attraverso il quale l’organizzazione sindacale persegue i propri obiettivi.
Le organizzazioni di rappresentanza possono avere un ruolo decisivo nell’assimilazione dell’etica nel momento in cui la loro stessa azione è guidata da valori etici e questo può avvenire solo attraverso una leadership consapevole e permeata di tali valori.
È il noto circolo virtuoso per cui un comportamento ne genera un altro della stessa natura, l’uno rafforzando l’altro.
L’interiorizzazione, in linea teorica, potrebbe sembrare quasi una manipolazione: far adottare un comportamento in maniera inconsapevole. Ma l’interiorizzazione dei valori etici e nello specifico professionali restituisce al professionista la centralità del ruolo, gli restituisce il senso di appartenenza, l’identità.
E sappiamo tutti quanto il desiderio di appartenenza sia insito nell’essere umano.
Un’organizzazione sindacale che attraverso le proprie azioni, ma anche il proprio linguaggio, riesce in ciò ha, da un lato ottemperato alle proprie classiche funzioni di tutela e, parallelamente, è stata motore di questo riavvicinamento dei propri iscritti alla propria professione, perseguendo ciò che rappresenta il valore cardine di ogni formazione sociale: la giustizia intesa come rispetto di regole certe.
Nulla come la percezione di vivere in un contesto di regole certe dà stabilità ad un sistema sociale e consente a chi ne fa parte di agire in maniera costruttiva all’interno dello stesso.
Un sistema in cui la rappresentanza vera non è permessa è un sistema organizzativo destinato a ripiegarsi su se stesso, un sistema la cui tenuta passa attraverso codici non scritti a cui l’individuo, anche inconsapevolmente, si adegua, cercando da sé il modo per raggiungere ciò che ritiene possa soddisfare i propri bisogni, al di fuori di un sistema di relazioni con i suoi colleghi.
Di fronte a un sistema del genere la stessa etica professionale fa fatica a radicalizzarsi, poiché soffre la scarsa coerenza tra ciò che vive all’interno e ciò che si chiede di restituire all’esterno, verso i cosiddetti clienti, nello specifico, lo Stato, i cittadini.
Un’organizzazione sindacale può, invece, attraverso il proprio sistema di tutela, teso necessariamente al superamento delle ingiustizie, delle disparità di trattamento, portare a uno scardinamento di quella cultura purtroppo tipica del nostro Paese per cui, delusi dalla realtà dei fatti, spesso si rinuncia a rivendicare ciò che spetta o si tende a rivendicare ciò che non spetta, minando profondamente il sistema di relazioni all’interno del proprio gruppo sociale.
Un gruppo sociale in cui il valore della giustizia viene meno farà fatica a interiorizzazione l’etica richiesta per la propria professione; le norme di comportamento scritte o non scritte saranno, al pari delle norme giuridiche, qualcosa da rispettare in quanto tali, in un legame debole quale può essere quello dei comportamenti imposti.
Giustizia ed equità hanno il potere di far uscire l’uomo dall’individualismo in cui si è rifugiato per farlo sentire parte di una collettività, in cui anche la solidarietà ritrova una declinazione autentica.
E la solidarietà, soprattutto tra pari, è un valore a cui va data la giusta rilevanza, è un valore che, qualora presente in un sistema di relazioni, ottempera a compiti fondamentali che neanche la leadership più illuminata può realizzare.
La percezione di vivere in un ambiente “giusto” è fondamentale per la tenuta sociale, in ogni ambito; e il valore della giustizia è valore fondante delle organizzazioni rappresentative sindacali, poiché non c’è null’altro che possa soddisfare un gruppo indistinto di individui, accomunati solo dalla professione, quanto la giustizia.
In conclusione, il modello di tutela che un’organizzazione sindacale decide di adottare diviene fondamentale per far sì che l’etica professionale diventi parte integrante dell’individuo, il quale conforma la sua azione a valori che inconsciamente ritiene coerenti con il sistema in cui presta la propria attività, in un circolo virtuoso che si rafforza da sé.
Stefania Castricone – Segretario Generale Aggiunto del Sindacato Nazionale Finanzieri