di Alessandro Margiotta – Segretario Nazionale del Sindacato Nazionale Finanzieri
L’apertura della nuova legislatura e l’imminente formazione del nuovo Governo mi hanno fatto tornare alla mente alcune riflessioni, di carattere generale, già fatte in passato sul tema dei rapporti tra politica e sicurezza.
L’attenzione della Politica verso le Amministrazioni del comparto sicurezza e del suo personale è oramai da tempo “frutto delle stagioni” e subisce accelerazioni e rallentamenti in stretta connessione, spesso, con particolari congiunture quali, a mero titolo esemplificativo, recrudescenze di fenomeni criminali e di terrorismo, politiche fiscali, scadenze contrattuali, campagne politiche sia locali che nazionali.
Pur nella consapevolezza della potenziale attenzione strumentale che la Politica riserva al comparto, non mi sono mai voluto astenere, con approccio non certo ottimistico ma quantomeno positivo, dal valutare con favore tutte le iniziative legislative intraprese dalla Politica aventi lo scopo, reale o simulato, di migliorare la funzionalità delle Amministrazioni del comparto e la condizione lavorativa del loro personale.
Per tale motivo, già dalla fine del 2013 mi sono interessato dei progetti e disegni di legge in qualche modo indirizzati al personale delle Forze di Polizia, focalizzando l’attenzione soprattutto su quelli che potenzialmente potevano avere riflessi di un certo spessore in termini di miglioramento del benessere del personale, imbattendomi da subito su alcune iniziative di grandissimo interesse e per certi versi fortemente innovative, se non “rivoluzionarie”.
Ebbene, di buona parte di tali iniziative legislative si è persa traccia nei meandri delle commissioni o delle aule parlamentari e la risultante tra l’iniziale ottimismo e la delusione finale potrei parafrasarla in “Chi vuole esser lieto sia, di doman non c’è certezza”.
Con tali premesse, pur continuando con il mio approccio positivo, non posso che prefigurare analoga fine (o mancato inizio) per i tanti progetti e disegni di legge che saranno presentati nella nuova legislatura, magari riprendendo quelli della precedente.
Ma quali conclusioni trarre da tale quadro “a tinte fosche”?
Un approccio politico funzionale, ma anche un po’ immaginario, potrebbe condurre a ritenere che le iniziative di singoli parlamentari, o di gruppi parlamentari, pur essendo appoggiate dai rispettivi partiti di appartenenza, non trovino poi il consenso necessario in Aula od in Commissione, tanto da permanere in una eterna gestazione senza alcuna possibilità di “vedere la luce in fondo al tunnel”. Tale visione potrebbe però valere con una buona dose di ragionevolezza per le iniziative legislative degli esponenti politici “di opposizione”, essendo legata alla possibilità o meno di raggiungere livelli di condivisione trasversale tali da ottenere una approvazione sostanziale in tutte le fasi del relativo iter.
In realtà, l’interruzione dell’iter formativo colpisce inesorabilmente anche i progetti ed i disegni di legge di matrice maggioritaria che di per sé dovrebbero, fosse solo per la loro provenienza, trovare la condivisione sufficiente e necessaria per arrivare all’approvazione finale. Questa circostanza potrebbe indurre ad alcune riflessioni sui rapporti di forza non solo tra le componenti politiche che formano le maggioranze parlamentari, ma anche all’interno delle stesse, potenzialmente “soggiogate” a dinamiche che sfuggono a chi non fa politica attiva e sulle quali evito quindi di soffermarmi in congetture temerarie.
Resta quindi l’approccio disincantato che porta ad ipotizzare un utilizzo elettoralistico dell’iniziativa legislativa che, parafrasando altri detti, porterebbe a dire che “una proposta di legge non si nega a nessuno”, detto che troverebbe conferma nel fatto che tali iniziative rimangano nella fase embrionale della loro presentazione, senza che gli stessi proponenti ne richiedano (quasi mai) la calendarizzazione nei lavori delle Commissioni cui sono assegnate per l’esame in sede referente.
Siamo in presenza di una patologica e generalizzata sindrome da amnesia parlamentare o di una altrettanto patologica idiosincrasia verso i temi della sicurezza e di chi deve assicurarla per proprie finalità istituzionali?
Allora non resta che chiedere alla Politica di uscire dall’ambiguità e di chiarire una volta per tutte se la sicurezza pubblica, economica e finanziaria di questo Paese sia realmente una priorità, se sia avvertita come tale non solo dalla cittadinanza e dagli operatori del comparto ma anche da chi è delegato a rappresentarli nelle massime istituzioni dello Stato, perché diversamente opinando non resterebbe che da un lato l’illusione di un corretto esercizio del mandato rappresentativo che trova solo ostacoli di natura oggettiva indipendenti dalla volontà dei singoli e dall’altro la deprimente consapevolezza di un utilizzo distorto e strumentale di quelle prerogative che, ove correttamente esercitate, potrebbero rispondere alle legittime aspettative individuali e collettive dei cittadini e del personale delle Forze di Polizia.
L’auspicio è che la nuova legislatura ci porti una inversione di tendenza quantomeno su un tema tanto caro alla collettività, quale quello della sicurezza.
Ai posteri l’ardua sentenza, ….sempre ammesso che si arrivi ad averne una!
Alessandro Margiotta