Molti nostri iscritti continuano a sollecitarci l’avvio di ricorsi giudiziali inerente il mancato avvio della previdenza complementare.
Riteniamo doveroso ribadire che la Legge n. 335/1995 (c.d. Legge Dini) ha previsto un sistema di calcolo retributivo per i dipendenti con 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995; un sistema misto (parte contributivo e parte retributivo) per i dipendenti con meno di 18 anni di contributi a quella data; un sistema interamente contributivo per i dipendenti assunti dal 1° gennaio 1996.
Con il sistema retributivo la pensione viene calcolata sulla base della media delle retribuzioni degli ultimi dieci anni; con il sistema contributivo la pensione viene calcolata sulla base dei contributi versati, ancorché rivalutati annualmente, come del resto accade nel sistema misto per le annualità successive al 1995.
Il problema principale (che inciderà soprattutto sulle generazioni di lavoratori più giovani) è che l’importo della pensione calcolato secondo il sistema contributivo e, in parte, con quello misto, sarà significativamente inferiore rispetto a quello conseguibile con il sistema retributivo.
Al fine di colmare questo gap, la citata L. 335/95 stabilì forme di previdenza complementare che, però, sono rimaste in fase “embrionale”, a dispetto delle legittime aspettative del personale delle Forze di polizia e armate (diversamente dal resto dei pubblici dipendenti ex art. 1, co. 2, D.Lgs. 165/01 e ss.mm. – c.d. pubblico impiego contrattualizzato).
Inascoltati i conseguenti precetti previsti dalla L. 447/98, D.Lgs. 252/05 e, in via trasversale, per quanto di diretto interesse, le procedure idealizzate dal D.Lgs. 195/95, nonostante la “sponda” offerta dalla nota (e a noi cara) sentenza n. 120/2018 della Consulta: i Sindacati, infatti, sarebbero a pieno titolo depositari di indefettibili prerogative afferenti, fra le altre, alla contrattazione e alla previdenza, con riflessi importanti in subiecta materia.
Venendo ai giorni nostri, a fronte di una serie di iniziative giudiziarie, si registra, per il momento: un “fermento” – basato, principalmente, sulla “voce dissonante” contenuta nell’unica pronuncia favorevole al ricorrente emessa dalla Corte dei Conti di Bari; un orientamento contrario, pressoché unanime, della giurisdizione amministrativa e contabile; più di recente, una serie di dichiarazioni di incompetenza a decidere sulle quali si é in attesa di conoscere l’orientamento dirimente della Suprema Corte investita della questione.
Sebbene queste ultime lasciano presagire possibili nuovi scenari riteniamo, a nostro modesto avviso, di suggerire (rebus sic stantibus), come già evidenziato in passato[1], un atteggiamento cauto e attendista, finalisticamente diretto, da un lato, a circoscrivere spinte emotive (foriere di illusioni o, peggio, di esborsi economici anche significativi), dall’altro, a favorire l’acquisizione di ulteriore elementi prima di avviare ricorsi.
Inoltre, cosa di non poco conto, la sopra menzionata pronuncia “dissenziente” della Corte dei Conti pugliese (di primo grado), pur riconoscendo – in teoria – la sussistenza di un danno risarcibile, non offre, a nostro avviso, criteri obiettivi per quantificarlo, limitandosi a riferirsi a un principio comparativo con altri fondi integrativi, stabilendo, segnatamente, che il ristoro debba essere commisurato “a un quarto della differenza eventualmente riscontrata tra il rendimento conseguito da chi già ha attivato la previdenza complementare, e chi invece ha mantenuto il tradizionale sistema di trattamento di fine servizio”.
Con queste premesse, avuto riguardo agli esigui (talvolta addirittura negativi) rendimenti dei ridetti fondi integrativi, potrebbe paradossalmente configurarsi anche la circostanza che, alla fine, risulti addirittura più vantaggioso il sistema pensionistico attualmente in vigore per il personale del comparto.
In altre parole, siamo fermamente convinti che l’eventuale danno subìto debba essere materialmente dimostrato per poter vantare un eventuale risarcimento da far valere in sede giudiziale.
Dunque, al di là delle “buone intenzioni” e delle scelte che stanno facendo altre sigle sindacali, il Si.Na.Fi. resta fermo sull’avviso prudenziale, connotato da un cauto ottimismo, in attesa anzitutto della pronuncia della Corte di Cassazione che avverrà a breve, in ordine alla soluzione del sollevato conflitto di giurisdizione (dovrà definire a quale Giudice va indirizzato il ricorso per l’eventuale risarcimento del danno).
Al cospetto di questa sentenza , intraprenderemo le più utili, ponderate e proficue iniziative in favore del personale, con il solo fine di far spendere il meno possibile a fronte di un’assistenza legale elevata, senza cedere alla tentazione di agire anzitempo o in modo improvvido. Ben lungi dal farlo, infatti, con debiti di cognizione che, a cagione della delicatezza e complessità della materia, deve, invece, essere piena, particolareggiata e supportata da un necessario impianto strategico professionalmente qualificato e che consenta ampi margini di favorevole definizione delle future iniziative giudiziali o stragiudiziali.
Non c’é nessuna urgenza né tantomeno scadenze imminenti da rincorrere, se non agire entro cinque anni dalla data di pensionamento.
Questo è il nostro dovere morale verso gli iscritti e verso coloro che vorranno iscriversi in futuro con noi!
[1] Cfr.: https://www.sinafi.org/2020/07/08/le-delucidazioni-del-sinafi-sul-risarcimento-del-danno-per-mancata-istituzione-della-previdenza-complementare/