di Massimiliano Salce
“Un pazzo che si crede Napoleone, per dirla con Lacan magistralmente ripreso da Recalcati, è chiaramente un pazzo ma non gli è affatto da meno un re che si crede un re. E’ il re che nel delirio di potere si crede di essere re, cioè realmente investito di una missione salvifica così che si innamora del suo potere che non è più servizio alla collettività ma è un suo strumento per affermare ciò in cui crede, in un delirante processo di auto identificazione, in danno di altri.”
Non entro nel particolare nell’analizzare quanto riportato da alcuni generali dell’esercito e aereonautica (così mi sembra) in congedo e che hanno usato delle caleidoscopiche ed efflorescenti espressioni di critica nei confronti dell’avvio della sindacalizzazione nel mondo militare.
Non vi entro perché è evidente che dallo spessore dei concetti enunciati si tratta di argomentazioni sorrette da visioni piuttosto soggettive e che non dimostrano una oggettiva analisi della realtà.
Direi posizioni ideologiche ma sbaglierei perché in realtà ideologia non vuol dire posizioni errate ma vuol dire spiegare, cercare di rappresentare la realtà: da “idea” e “logos” cioè ragione, spiegazione dell’aspetto, della forma visibile di un fenomeno, della realtà. E in quelle affermazioni tutto ciò sembra mancare, apparendo solo come una non dovuta veemente reazione, vista l’ironia usata verso una istanza sentita ( e rispettabile) invece da migliaia di lavoratori.
E mi sembra che i suddetti critici non abbiano affatto esaminato tutti gli aspetti di cosa stia accadendo e non abbiano saputo sostenere con argomenti credibili le loro colorite tesi.
Andrebbe ricordato in realtà che è proprio l’opposizione tra gli aspetti della vita, la negazione, l’antitesi, la caratteristica essenziale dello sviluppo, quindi dialettico, della realtà: l’opposizione è la spinta vitale, l’elemento dell’infinito progresso. Il polemos che non vuol dire polemica.
Non a caso in scienza si usa il metodo della falsificazione di Popper (Fälschungsmöglichkeit ), cioè la verifica dell’ opposto del fenomeno in esame, per giungere ad affermare una tesi sostenibile circa il fenomeno in questione.
Semplifichiamo : come può il generale dire che con il sindacato andrà tutto a rotoli ? Il giudizio viene espresso sulla base non dell’esame del fenomeno, che deve ancora partire , ma sulla base del fenomeno attualmente in essere e che non è quello che deve ancora verificarsi. Cioè in altri termini : non vuol dire che l’osservazione ripetuta del fenomeno attuale in essere e non di quello assente , assenza del sindacato, voglia dire bontà del funzionamento perché questo è il ragionamento induttivo e che non assicura nulla di certo. Io osservo che posso passare più volte su di un ponte , quindi ritengo il ponte sicuro. Poi un giorno il ponte viene giù.
Di contro dovrei dire : ho le prove che una organizzazione col sindacato sia meno efficiente di una senza ? Per affermarlo devo cioè mettere alla prova dell’esperimento. Falsificare appunto, nel senso di prova dell’opposto.
Ma lasciamo da parte gli aspetti del metodo conoscitivo.
Più nel pratico occorre riflettere su alcuni punti.
Punto primo : perché è stata sentita l’esigenza di un sindacato ? Evidentemente se non ci sono ragioni sufficienti, di solito un fenomeno non si verifica almeno così a livello macroscopico. Io non ho bisogno di costruire pozzi d’acqua in una zona ricca di sorgenti e laghi. Né si può sostenere che la richiesta sia stata il capriccio di qualcuno che si è voluto creare un posto al sole. Di solito andrebbe ricordato che ogni fenomeno, spinto all’eccesso ha in sé i germi del suo fenomeno opposto e si trasforma in esso, richiamando un concetto caro al mondo greco e cioè l’enantiodromìa (corsa verso l’opposto). E che peraltro funziona di continuo, tanto è che le forme di stato si trasformano, alla lunga, di solito nel loro opposto. E cosa è successo nelle organizzazioni militari ? C’è stato ascolto ? Sempre ? Tutela della base ? E i morti per l’uranio impoverito ? C’è stata sempre trasparenza ? Anche ad Ustica ? Ci sono stati militari che facevano da attendenti cioè da camerieri ? Era questo lo spirito delle Forze Armate ? Ci sono stati forse troppi : stia zitto a stia sull’attenti ? Autisti inviati a far spese con la macchina della amministrazione per conto del comandante e della sua signora ? Inevitabile allora che se questi fenomeni si sono ripetuti , il fenomeno opposto inizia ad emergere.
Punto secondo : non c’è peggior cosa per una struttura militare che farsi scavalcare dagli eventi, dalle novità che investono la società . Significa perdere le guerre in partenza. Che per un generale è di per sé abbastanza umiliante, se non segno di incapacità. E questo per il semplice fatto che la componente che le forze armate arruolano è una componente sociale che porta con sé tutti gli aspetti del sociale vivo e dinamico , aspetti che difficilmente possono essere sterilizzati facendo entrare nella organizzazione quella parte della società. L’esercito , le forze armate non sono un santuario. Non sono una riserva dove si preservano delle specie biologiche. Non sono e non possono essere illusorie incubatrici sterilizzanti. Autocelebrantesi come tali. Sono una struttura dello Stato che ha una missione istituzionale di difesa , non di etica cioè di un dover essere sociale. Lo Stato non è etica, non è morale. La disciplina che si insegna nei reparti di istruzione non è un concetto di etica che è tutt’altro , volendo aprire un qualsiasi testo di filosofia. Viene veramente da sorridere nel sentire parlare di etica quando in realtà si sta parlando di regole organizzative e di funzionamento. Lo si potrebbe, al limite, dire della Chiesa o di Stati teocratici cioè tentativo di cristallizzazione istituzionale e normativa della affermazione e del risultato della ricerca del bene in contrapposizione al male.
Lo Stato laico è altro , è una organizzazione che persegue dei fini , esercita una sovranità. I fini da raggiungere li stabilisce di volta in volta il popolo che ha la sovranità. Se il popolo decide che debba esserci il divorzio o l’aborto , la tassazione della prostituta, la pena di morte, che non deve esserci religione privilegiata, che si può usare alcool da bere, che si può fumare e il vizio del fumo è perfettamente legale, ecco che lo Stato , evidentemente, non persegue fini morali persegue interessi collettivi. Non perché il divorzio o l’aborto , l’aconfessionalità o le sigarette siano amoralità. Semplicemente è lo Stato stesso che stabilisce solo e semplicemente cosa sia permesso e cosa non sia permesso fare. Senza affermazione di una etica. Quanto piuttosto di una norma. Kelsen insegna.
Va da sé che allora un generale dell’esercito non può ergersi a decisore di cosa debba esserci nella organizzazione militare, semplicemente perché egli non è lo Stato. Non è quella organizzazione. Semplicemente perché egli è solo un partecipe di una organizzazione e questa organizzazione non è la sua ma del popolo sovrano.
Ma il problema ben peggiore e collegato al primo è cioè, che quel generale nell’intendere così una amministrazione, che non gli appartiene ma presso la quale egli ha svolto il suo rispettabilissimo ed encomiabile servizio, nel vederla come cosa sua , commette un errore esiziale e cioè non sa cogliere il cambiamento in atto , così che il cambiamento in atto rischia di travolgere poi lui e l’organizzazione stessa.
Un pazzo che si crede Napoleone, per dirla con Lacan, è chiaramente un pazzo ma non gli è affatto da meno un re che si crede un re. E’ il re che nel delirio di potere si crede di essere re, investito di una missione salvifica così che si innamora del suo potere che non è più servizio alla collettività ma è un suo strumento per affermare ciò in cui crede in danno di altri.
Ma i tempi cambiano e il re è nudo, come si diceva una volta. E’ smascherato.
Esempio ne è l’accettazione della omosessualità nelle forze armate. Condizione che prima portava dritti , dritti al Tribunale militare e non si capisce che danno potesse arrecare alla difesa della Patria se non risultare semplicemente e in realtà un pregiudizio morale estraneo e non interferente col fine istituzionale dell’organizzazione.
Esempio ne è ancora l’ingresso delle donne, prima ritenuto non possibile, ritenuto dannoso, ritenuto impensabile, oggi abbiamo fior di piloti donne, fior di operatrici preparatissime di polizia e questo perché la società si è evoluta in quel senso. E avremo comandanti generali donne. E il fenomeno , l’evoluzione sociale in tal senso non ha certo danneggiato le forze armate , che nel passato ritenevano in modo autoreferenziale che detto accesso non fosse possibile. Poi arriva il cambiamento sociale e l’organizzazione militare si trova bell’ e spiazzata. Salvo così poi dover correre a preparare discorsi riparatori densi di retorica circa la bravura delle donne, che altro non fanno che evidenziare ancor più macroscopicamente l’errore di non aver saputo gestire in anticipo il cambiamento ma averlo subito. Verrebbe anche da chiedersi se oggi le donne , una volta discriminate, non siano oggi loro dei discriminatori verso questo cambiamento sociale. Da vittime ad aguzzini , spesso il passo è impercettibile.
Ancora : esisteva una specie di obbligo di richiesta per potersi sposare. Una visione del tutto avulsa dalla realtà, anche di allora, che certo non ha dimostrato nulla di utile nella sua applicazione pratica. Se non sofferenze inutili.
Ma tanti altri aspetti sono in realtà cambiati rispetto ad una forza armata di 50 anni fa.
E questi cambiamenti sono ineluttabili ed inseriti in qualsiasi organizzazione dalla stessa evoluzione sociale. Negarlo, opporsi , avrebbe un solo risultato cioè essere travolti.
Quindi è fin troppo evidente, come dicevo, che non c’è cosa peggiore per una organizzazione, specie militare , non saper precorrere l’evoluzione della società , le sue non frenabili evoluzioni.
Il militare non è chiamato ad essere il baluardo contro il cambiamento in una specie di auto investitura. O in un troppo spesso abusato riferimento a Dio e ad una chiamata salvifica. Non è il re che può credersi re. Non gli spetta. Soprattutto sarebbe solo e semplicemente un folle ed un folle piuttosto pericoloso come Pinochet.
Bene invece un atteggiamento che , serenamente , si apre a quel fenomeno , ne parla , non lo teme perché non c’è nulla da temere perché già presente da tempo nella società civile, dialoga, ne verifica la fattibilità come innovazione, l’applicazione, che deriva dalla trasformazione e dalle dinamiche sociali ed in quanto tale non ostacolabile. Non lo deride. Non lo sbeffeggia. Non lo ostacola. Non lo teme.
In ultimo , terzo aspetto, si dimentica che l’apertura verso i collaboratori , riconoscendo loro la posizione di associati, in realtà risponde ad uno dei criteri di base della gestione del personale e cioè il confronto costruttivo, le basilari regole di assertività derivanti dalla psicologia del lavoro, che arricchiscono l’organizzazione e non la minano affatto , probabilmente ciò ignorato da quei giudizi fin troppo facili espressi dai signori graduati in pensione e che non colgono altro che il proprio sentire interiore anziché una analisi obiettiva del mondo reale, in una specie di solipsismo e di rappresentazione autistica della realtà dove il nuovo spaventa, non è previsto, non è accettabile , né pensabile, pena destabilizzare non l’organizzazione ma in realtà il mio equilibrio interiore. Spesso precario.
Perché è questo il punto cruciale : la novità del sindacato destabilizza l’organizzazione o forse destabilizza, più sottilmente, delle false sicurezze, degli equilibri interiori personali piuttosto deboli nel loro confronto col nuovo, con la novità ?
A questa domanda occorre dare una risposta. Senza titubanze.