Prima o poi ad ognuno di noi capita di dover effettuare scelte che possono incidere anche notevolmente nella vita personale e familiare. Per il personale del Corpo, come per tutto il personale militare, quella tra chiedere di essere collocato in congedo nella posizione della “riserva” od in quella di “ausiliaria”, al compimento dei 60 anni di età, rientra sicuramente tra queste.
Ma se la scelta appare già di per sé difficile, lo è ancora di più quando sono assenti punti di riferimento certi ed interlocutori che possano dare indicazioni quanto più attendibili sugli effetti, soprattutto economici, dell’una come dell’altra.
Resta fermo, però, che non vi sono “verità assolute” su quale sia la scelta migliore, essendo comunque condizionata da circostanze e situazioni soggettive e familiari che hanno una loro portata discriminante.
Voglio prescindere da valutazioni sulle diverse posizioni giuridiche, in linea di massima di limitato rilievo, comportando per la categoria della “riserva” la sottoposizione ad obblighi di servizio soltanto in tempo di guerra o di grave crisi internazionale, mentre per la categoria della “ausiliaria” la disponibilità a prestare servizio presso la propria o altre amministrazioni nell’ambito del Comune o della Provincia di residenza. Entrambe le circostanze, come è ovvio ed auspicabile per la prima, sono evento più unico che raro, come mi risulta anche per la seconda.
Voglio invece dare qualche spunto per una scelta consapevole dal punto di vista pensionistico, al fine di dirimere alcuni dubbi che possono certamente sorgere.
Proverò quindi a fornire qualche spunto di riflessione, senza appesantire il testo con riferimenti normativi, peraltro ai più noti, puntando sulla sostanza più che sulla forma.
Occorre prima di tutto chiarire che la scelta tra collocamento in congedo in “riserva” o in “ausiliaria” determina, sotto il profilo economico, il riconoscimento alternativo del c.d. “moltiplicatore” o della “indennità di ausiliaria” ed il pagamento o meno delle ritenute previdenziali e assistenziali (8,80% + 0,35% a carico del dipendente) previste per la posizione di “ausiliaria” ma non per quella della “riserva”.
Il “moltiplicatore”, riconosciuto per la categoria della “riserva”, consiste nell’incremento di un importo pari a 5 volte la base imponibile (stipendio + aumento figurativo + altre voci stipendiali + parte delle competenze accessorie) dell’ultimo anno di servizio, moltiplicata per l’aliquota di computo della pensione, e rientra nel calcolo del montante contributivo (aumentato di 5 volte le ritenute operate e versate nell’ultimo anno di servizio), per quanto riguarda la quota contributiva, sia in caso in cui si rientri appieno nel regime contributivo che si rientri nel regime c.d. “misto”.
La “indennità di ausiliaria”, riconosciuta per la relativa categoria, comporta, invece, il riconoscimento di un importo annuo lordo pari al 50% della differenza tra il trattamento di quiescenza in godimento ed il trattamento economico spettante nel tempo al parigrado in servizio dello stesso ruolo ed avente pari anzianità di servizio di quella posseduta dal militare all’atto del collocamento in “ausiliaria”.
Il dato oggettivo dell’applicazione alternativa dei due regimi è che nel quinquennio massimo di “ausiliaria” si percepisce un trattamento pensionistico inferiore rispetto al collega con pari requisiti collocato nella “riserva”, conseguenza del non riconoscimento, in “ausiliaria”, del “moltiplicatore” e dell’applicazione, invece, delle ritenute previdenziali.
Pur non essendo la differenza standardizzabile, in ragione del fatto che è dipendente da situazioni soggettive relative agli anni ed al tipo di servizio prestato, proverò a fornire comunque qualche parametro di riferimento.
Sino al 2021 di certo il trattamento pensionistico del personale in “riserva” rispetto a quello in “ausiliaria” risultava nettamente più favorevole, non solo nel breve termine ma anche nel lungo termine, in ragione dell’applicazione del “moltiplicatore” solo nel primo caso e delle trattenute previdenziali nel secondo caso, per il quale non vi era alcuna valorizzazione.
Ma dal 2021, in conseguenza di nuove disposizioni regolamentari, a differenza di quanto previsto in precedenza, il periodo trascorso in “ausiliaria” è stato valorizzato sotto il profilo economico, prevedendo che lo stesso sia considerato utile ai fini del montante contributivo e, conseguentemente, del trattamento di quiescenza e del trattamento di fine servizio (contributi previdenziali versati nel quinquennio di “ausiliaria” sia dal dipendente in misura del 8,80% che dall’Amministrazione in misura del 24,20%).
Tale nuova disciplina ha determinato che, alla cessazione della posizione di “ausiliaria” (massimo 5 anni), si ha diritto alla riliquidazione del trattamento pensionistico e del trattamento di fine servizio, tenendo conto, ai fini della determinazione dell’anzianità complessivamente utile, anche del periodo trascorso in “ausiliaria”, anche se non richiamato in servizio temporaneo, con un assegno pensionistico ed un trattamento di fine servizio complessivamente più elevati.
Come detto, non è possibile standardizzare la differenza tra i due trattamenti (“riserva” e “ausiliaria”) ma, a mero titolo esemplificativo, la loro diversa applicazione potrebbe condurre nel primo quinquennio, in linea di massima, a differenze tra i 50 ed i 150 euro mensili, in favore della “riserva”, mentre nel periodo successivo (dopo il primo quinquennio) a differenze, sempre in linea di massima, anche sino a 350 euro mensili in favore della “ausiliaria” rispetto alla “riserva”.
Ne consegue che, nel lungo periodo, dopo il primo quinquennio in cui in “ausiliaria” si percepisce un trattamento di quiescenza relativamente più basso rispetto alla “riserva”, il trattamento pensionistico in “ausiliaria” risulterebbe sensibilmente più favorevole rispetto a quello della “riserva”, peraltro auspicabilmente per un periodo di tempo maggiore dei 5 anni.
Detto questo, i fattori che entrano in gioco nelle valutazioni su quale posizione giuridica scegliere al compimento dei 60 anni di età (“riserva” o “ausiliaria”) e, conseguentemente, su quale trattamento di quiescenza ricevere, sono certamente diversi e coinvolgono sia contingenti situazioni personali e familiari che, fisiologicamente, le proprie aspettative di vita.
Con l’auspicio che questi spunti di riflessione possano portare quantomeno a scelte consapevoli, resta di certo il proverbiale dilemma: “meglio un uovo oggi o una gallina domani?”
* Alessandro Margiotta – Segretario Generale del Sindacato Nazionale Finanzieri.