Ciò che stiamo leggendo in questi giorni sulle prerogative e sulle tutele sindacali nell’ambito della Difesa e delle forze di polizia ad ordinamento militare lascia un po’ sbigottiti e induce ad una seria riflessione sulla portata della norma sulla sindacalizzazione di tutto il comparto militare e sulla reale portata innovativa, per alcuni versi storica, del processo di democratizzazione delle relazioni tra il personale, chi lo rappresenta e la dirigenza delle relative Amministrazioni.
Stiamo infatti assistendo alle legittime reazioni di molte associazioni sindacali, militari e non, a quello che pare essere il primo segnale di “restaurazione” rispetto a quello che invece avrebbe dovuto essere un processo ormai metabolizzato di progressiva ed inesorabile evoluzione verso un sistema di relazioni tra Amministrazione e personale fondato su un confronto paritario teso alla funzionalità ed al benessere organizzativo, oltre che a quello dei lavoratori.
E ciò sta avvenendo in conseguenza dell’avvio di un procedimento disciplinare a carico di un dirigente sindacale, in ragione di alcune sue affermazioni formulate nell’esercizio del suo ruolo di Segretario Generale di un sindacato militare.
Non volendo entrare dettagliatamente nel merito delle accuse formulate al collega sindacalista e delle sue dichiarazioni, della cui valenza disciplinare saranno altri a doversi occupare, apparendo a noi comunque basate su una percezione lesiva molto soggettiva e tutta da dimostrare, quello che colpisce è come a pochi giorni dal riconoscimento della rappresentatività delle sigle sindacali militari ci si trovi già a pensare a come difendere chi, in ragione del suo ruolo, è chiamato alla tutela collettiva del personale.
E qui entra in gioco il “diritto” di chi, ricoprendo una carica elettiva all’interno di una associazione sindacale rappresentativa a livello nazionale, si adopera per curare gli interessi di coloro che rappresenta ed il “rovescio” di chi risponde in maniera tale da mettere sostanzialmente in discussione l’esistenza stessa di quelle garanzie che la stessa norma pone a presidio di quelle funzioni, prevedendo che quei dirigenti sindacali non siano perseguibili in via disciplinare per le opinioni espresse nello svolgimento dei compiti connessi con l’esercizio del loro incarico.
Come Sindacato Nazionale Finanzieri riteniamo che in questa circostanza si sia andati ben oltre le limitazioni che le norme fissano per le associazioni sindacali tra militari e per i loro dirigenti e che anche la particolare congiuntura dell’apertura del tavolo per il rinnovo contrattuale per il personale del comparto Sicurezza e Difesa avrebbe dovuto indurre a valutazioni più ponderate e più contestualizzate, rifuggendo da letture “cavillose” che non solo non rendono giustizia delle capacità di analisi delle Amministrazioni, ma lanciano anche un segnale di difficoltà di adattamento al mutare dei contesti sociali che interessano anche il mondo militare e che hanno portato all’ormai irreversibile processo di sindacalizzazione del personale militare.
Il Sindacato Nazionale Finanzieri si farà portavoce in tutte le sedi delle esigenze di tutela del personale e di coloro che sono chiamati a rappresentarlo, non ultima quella del tavolo per il rinnovo contrattuale.
La Segreteria Nazionale SINAFI